Simonetta Di Pippo: “Lo Spazio è una piattaforma diplomatica”

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Intervista alla Direttrice dello Space Economy Evolution Lab di SDA Bocconi e autrice del libro “Luna laboratorio di pace”

La particolarità degli incontri con Simonetta Di Pippo è che quasi sempre si trasformano in interessanti chiacchierate che si dispiegano in innumerevoli e spaziosissime vie.

La particolarità degli incontri con Simonetta Di Pippo è che quasi sempre si trasformano in interessanti chiacchierate che si dipanano per innumerevoli spaziosissime vie.

Questa volta siamo partiti dal suo ultimo libro “Luna, laboratorio di pace” edito da Egea Editori uscito nel corso del 2024.

L’occasione è stata propizia per ragionare di Space Economy, Legge sullo Spazio e geopolitica spaziale.

Nel suo ultimo libro “Luna, laboratorio di pace” c’è un messaggio che è ovviamente contenuto nel titolo: è rivolto a qualcuno in particolare o è semplicemente un invito generale?
luna laboratorio di pace

È un insieme tra un invito e un processo che dovrebbe portare a un aumento di consapevolezza.

Faccio una premessa: io ho lavorato per 8 anni alle Nazioni Unite, dirigendo un ufficio che rispondeva direttamente al segretario generale. 

Questo ha fatto sì che l’ufficio, che si occupa di affari per lo spazio extra-atmosferico, attraverso la persona del direttore, fosse coinvolto direttamente in una serie di discorsi trasversali alle Nazioni Unite.

La questione dell’ONU è che si tratta di una piattaforma di diplomazia guidata dalle decisioni dei Paesi membri. 

È come l’Agenzia Spaziale Europea, ma con un numero di Paesi decisamente maggiore: l’ESA ha 22 paesi membri, mentre le Nazioni Unite ne hanno 193, con culture e problemi diversi. 

L’ESA è un’organizzazione intergovernativa sullo spazio, mentre l’ONU è molto più ampia e abbraccia temi rilevanti su scala globale. 

Essere direttamente collegati al segretario generale, grazie al riposizionamento dell’ufficio che è avvenuto appunto sotto la mia direzione a partire dal 2019, cambia poco nell’operatività quotidiana, ma aumenta l’esposizione politica del settore su questa piattaforma multilaterale che si occupa dei principali problemi della Terra.

Questo processo porta a considerare il fatto che lo spazio è da sempre una piattaforma diplomatica, oltre a essere conoscenza, educazione, progresso, innovazione, economia, ecc. 

Lo abbiamo visto, ad esempio, con la Stazione Spaziale Internazionale, dove Stati Uniti e Federazione Russa hanno continuato a collaborare anche in pieno conflitto ucraino. Non è stato lo stesso per l’Europa con ExoMars, che ha deciso di interrompere le relazioni con la Russia a causa del conflitto, portando a problematiche aggiuntive per il programma europeo.

Una delle cose interessanti da sottolineare è che in ambito multilaterale la questione che emerge fortemente è che gli accordi politici derivano da un bilanciamento di vari fattori. Se devo collaborare con un altro Paese, è perché c’è un vantaggio politico, tecnico o finanziario. Tutti questi elementi devono convincermi che ciò che sto facendo è positivo sia per la collettività che per me stesso. Un accordo non è mai solo per la collettività, ma deve portare benefici a entrambe le parti coinvolte. Questo principio vale sia nello spazio che in altri ambiti.

D’altra parte, è anche vero che se guardiamo alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), uno dei dibattiti di base è il seguente: la ISS, rispetto ad altri progetti come ExoMars che non sono andati avanti, è riuscita a progredire senza interruzioni, almeno in apparenza. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che l’interdipendenza tra i partner è molto forte. Se venisse a mancare uno dei tasselli, tutto il sistema crollerebbe.

I russi hanno trasportato gli americani per anni, e oggi i russi viaggiano da suolo americano con mezzi americani verso la stazione, mentre gli americani viaggiano su mezzi russi. Se per qualche ragione uno dei due interrompesse questa collaborazione, l’intera stazione ne risentirebbe. Quindi, l’azione di uno non si ripercuoterebbe solo contro l’altro, ma andrebbe a detrimento dell’intera operazione. Questa forte interdipendenza potrebbe essere una delle spiegazioni per cui si è deciso di continuare a lavorare come se nulla fosse.

Uno dei punti fondamentali contenuto nel libro è il passaggio del discorso che John Fitzgerald Kennedy fece alla Rice University il 12 settembre 1962, in cui disse che sceglievamo di andare sulla Luna e di fare queste cose non perché sono facili, ma perché sono difficili. Anche se annunciato precedentemente, il discorso alla Rice University rimane uno dei discorsi più iconici mai pronunciati e si può considerare come l’avvio pubblico del progetto.

Esattamente un anno dopo, il 20 settembre 1963, durante la high-level week della Assemblea generale delle Nazioni Unite, Kennedy invitò i sovietici a collaborare per una missione lunare congiunta. 

Sin da allora, dunque, durante la guerra fredda, si cercò di fare attività a livello nazionale per avanzare tecnologicamente, per aumentare il tasso di innovazione, per mostrare la propria leadership, ma la leadership si mostra anche attraverso la capacità di fare diplomazia e trovare dei compromessi. 

La Luna ha il vantaggio di non avere confini, ed è quindi una terra di nessuno. Potrebbe diventare una palestra per esercizi diplomatici e nuovi contratti sociali se tutti i Paesi coinvolti avessero l’intenzione e la volontà di cooperare.

Quindi possiamo dire che il principio ispiratore è che la cooperazione diventa un vantaggio di per sé per tutti gli elementi che cooperano. E che per questo la luna diventa un laboratorio per sperimentare un concetto che già è stato in qualche modo parte delle attività spaziali soprattutto sulla ISS proprio perché è una frontiera nuova su cui ci sta approcciando?
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Esatto. guardiamo i due programmi principali relativamente alla Luna che si stanno sviluppando. Uno è Artemis, intorno alla NASA. Al momento, i paesi coinvolti sono 43, l’ultimo dei quali è l’Armenia, entrata la scorsa settimana, e alcuni hanno visto un forte motivo geopolitico dietro questa mossa, in particolare per le problematiche geopolitiche con l’Azerbaigian.

Questo dimostra che la geopolitica dell’esplorazione spaziale non è riservata solo a pochi addetti ai lavori, ma ha un’importanza significativa. Il fatto di prendere posizione sull’esplorazione spaziale ha dei significati geopolitici che potremmo approfondire, ma per ora ci limitiamo a dire che ci sono decine di Paesi coinvolti negli accordi Artemis, anche se solo un sottoinsieme di questi può realmente contribuire in questa prima fase, che poi sono i Paesi principali dal punto di vista delle capacità tecniche e tecnologiche.

L’altro programma è l’International Lunar Research Station (ILRS), che inizialmente era un accordo tra Russia e Cina. Col tempo, la Cina ha preso naturalmente la leadership, in parte perché riesce ad aggregare Paesi più facilmente grazie a iniziative economiche come la Belt and Road, e in parte perché la Russia sta rallentando a causa dei problemi geopolitici attuali. Anche questo programma sta diventando multilaterale, con altri 8 paesi che hanno firmato gli accordi.

I principi fondamentali sembrano simili a quelli degli accordi Artemis: rispetto dei trattati internazionali, trasparenza nelle informazioni, salvataggio degli astronauti di altre nazioni, ecc.

Ricordiamo che il Moon Agreement, l’ultimo dei cinque trattati principali, è in vigore ma non è stato ratificato né da Cina, né da Russia, né dagli Stati Uniti, nemmeno dall’Italia. A oggi è stato ratificato da 17 Paesi.

Attualmente abbiamo 43 paesi da un lato e 10 dall’altro, superando così i 50. Questo scenario è completamente diverso dalla corsa alla Luna del primo periodo, che vedeva solo due superpotenze contrapposte. 

Partiamo da oltre 50 paesi, e questo numero continuerà a crescere, includendo anche attori privati e altre agenzie spaziali come l’ESA e la Asia-Pacific Space Cooperation Organization (APSCO).

Ci sono Paesi in via di sviluppo come Ruanda e Nigeria che hanno firmato gli accordi Artemis, mentre altri come il Pakistan e il Venezuela hanno firmato per ILRS. 

La geopolitica è mista, per esempio: India e Brasile, entrambi membri dei BRICS, sono negli accordi Artemis.

Tant’è che una delle cose che dico nel libro è che se trovassimo qualche Paese che firmasse entrambi gli accordi, potrebbe fare da ponte tra i due gruppi, ammesso che sia fattibile. 

La diplomazia infatti prevede anche questo: chi fa da ponte, chi spiega, chi prepara. 

Questo è il lavoro che facevo alle Nazioni Unite: preparare gli Stati con tutte le informazioni possibili per poter prendere la migliore decisione possibile. 

Un negoziato porta sempre a compromessi, perché nessuno può ottenere il 100% di ciò che vuole.

Il tema si collega anche con quello che stanno facendo molti Stati, che stanno legiferando sullo spazio laddove non esistono leggi. Ad esempio, l’Italia o l’Europa che sta ragionando su una legge per lo spazio europeo. Questo avviene perché l’economia dello spazio sta cambiando in un contesto in cui molti Paesi si approcciano alle attività spaziali. Mi chiedo: oggi ogni Stato fa le proprie leggi e gli Stati si relazionano tra loro attraverso accordi, ma cosa cambierebbe se ci fosse un organismo, come potrebbe essere l’ONU a pieno titolo, che in qualche modo garantisse la democrazia nello spazio e pari opportunità per tutti?

Se guardiamo il Trattato sullo Spazio Extraatmosferico del 1967, vediamo che stabilisce alcuni principi fondamentali: lo spazio è la provincia dell’umanità, non è soggetto ad appropriazione e deve essere accessibile a tutti indipendentemente dal livello di sviluppo tecnico, politico, sociale ed economico.

Sulla base di questo principio abbiamo cercato di rendere lo spazio democratico. E ci siamo riusciti.

Oggi più di 90 paesi hanno almeno un satellite in orbita. Molti paesi si stanno affacciando allo spazio come veicolo per uno sviluppo socioeconomico sostenibile: ecco ad esempio perchè Ruanda e Nigeria hanno firmato gli accordi Artemis.

Oppure pensiamo al programma delle Nazioni Unite che ho contribuito a creare, “Access to Space for All”, che ha permesso a paesi in via di sviluppo di mettere in orbita satelliti a costi contenuti, perché il lancio era messo a disposizione dallo Stato ospitante. Pensiamo al caso del 2018 in cui, grazie al Giappone, il Kenya ha messo in orbita il suo primo satellite grazie a un accordo con JAXA, che ha offerto il lancio gratuitamente. Questo ha portato il Kenya a creare una propria agenzia spaziale nazionale, ha registrato il suo satellite e ora continua con le proprie gambe. 

Piccole cose che però generano valore, stimolano l’interesse per le materie STEM, favoriscono lo sviluppo dell’Agenda 2030 e del bilanciamento di genere, ecc.

Tuttavia, con l’aumento dei satelliti in orbita, soprattutto nell’orbita bassa, c’è una crescente congestione. Anche se si seguono tutte le regole per le frequenze e le orbite, i rischi di collisioni rimangono. È qui che emerge la necessità di un organismo di coordinamento, non di controllo o di management, ma di gestione e prevenzione delle collisioni, dato che per di più non tutti i Paesi hanno relazioni diplomatiche tra loro. 

Abbiamo già fatto qualcosa di simile con le auto e gli aerei; non c’è motivo per cui non possiamo farlo con i satelliti. 

Potrebbe essere gestito dall’ufficio delle Nazioni Unite che dirigevo, o da un nuovo organismo specializzato. La questione principale è economica: istituire o potenziare un organismo richiede finanziamenti dagli Stati membri. C’è comunque un crescente interesse anche da parte del settore commerciale, che vuole proteggere i propri asset in orbita.

Il Summit of the Future, che si terrà a settembre durante la High-Level Week delle Nazioni Unite, affronterà anche il coordinamento del traffico spaziale e la sostenibilità a lungo termine. Speriamo che emergano principi di base su cui tutti possano concordare, in modo da costruire un sistema di gestione efficace nei prossimi anni.

foto luna
Se questo concetto lo traslassimo invece alla nuova corsa alle materie prime critiche, ai minerali, alle terre rare, cosa succederebbe?

Lì diventa ancora più interessante perché c’è un fortissimo interesse economico. È chiaro che oggi non abbiamo ancora tutte le tecnologie necessarie e si tratta di fare investimenti significativi. Tuttavia, una volta presa la decisione strategica, si può procedere, anche considerando la possibilità di fare estrazioni minerarie nello spazio e riportare i materiali sulla Terra. Naturalmente, sarà necessaria una struttura per verificare i materiali prima del loro utilizzo, per evitare rischi potenziali, anche se al momento non abbiamo evidenze di forme di vita aliene.

Questo è un argomento su cui le Nazioni Unite stanno lavorando, e posso dire che è una delle questioni su cui mi sono battuta molto. Durante il mio mandato, sono riuscita a ottenere una risoluzione dell’Assemblea Generale che consentiva al settore privato di entrare nella discussione e collaborare con l’ufficio, coinvolgendo così tutti gli stakeholder.

Occorre però adesso velocizzare il processo. 

Il problema è che il processo multilaterale è molto complesso e si basa sul consenso. Questo significa che tutte le riunioni devono portare a un accordo condiviso, e ciò richiede un lavoro diplomatico preventivo fondamentale. 

Quando si hanno più di 100 paesi con richieste e capacità politiche, sociali ed economiche molto diverse, è necessario trovare un metodo di discussione efficace.

Per esempio, avevamo creato a New York un gruppo di amici (Group of Friends) per facilitare il consenso. 

Io svolgevo prima il mio lavoro tecnico a Vienna, poi a New York dove vengono prese le decisioni dai 193 paesi aderenti.

Questo gruppo fungeva quindi da ponte e consentiva di fare pre-discussioni, in modo da preparare le delegazioni alle decisioni che sarebbero state prese in Assemblea Generale.

Questo ovviamente facilita il lavoro agli Stati membri, perché concentra il massimo delle informazioni possibili.

Questo è quello che chiamo nel libro diplomazia proattiva e preventiva per evitare i conflitti di ogni genere.

Sulla Luna questo è il messaggio: prima che arriviamo lì e vogliamo andare tutti nello stesso punto, sarebbe il caso di trovare il modo con una piattaforma che esiste o che ci possiamo inventare, di sedersi intorno al tavolo e iniziare a parlare. E questo vale anche per le risorse e per gli altri temi più importanti.

L’Europa può avere un ruolo che faciliti il multilateralismo?

Potrebbe. L’Europa oggi è focalizzata sulle regolazioni, molto importanti, ma dovrebbe avere una visione più multilaterale. Quando regoli devi fare attenzione, perché ogni decisione deve avere un punto di vista più ampio per evitare di mettersi in un angolo da soli.

Le legislazioni vanno fatte tenendo conto della situazione geopolitica. Inoltre, forse in Europa occorrerebbe rivedere la governance del settore spaziale, semplificandola anche a beneficio del comparto industriale che deve poter competere a livello internazionale e ha bisogno di regole snelle e di una attuatività rapida. 

La sensazione dall’esterno è che almeno nel settore spaziale l’Europa sia molto lenta in tutte le decisioni e che alcune decisioni prese nel passato, come quelle sull’accesso allo spazio, mostrino oggi tutte le loro debolezze.

Chiudiamo il cerchio con l’Italia, che ha portato qualche giorno fa in Consiglio dei ministri la bozza di legge sullo spazio. Normare lo spazio in Italia può dare uno stimolo ed essere da riferimento anche in Europa?

Assolutamente. Come sa, abbiamo lavorato anche insieme alla Fondazione Leonardo su un progetto simile. Partivamo da un altro punto di vista, cercando di creare una legge delega che permettesse di agire più rapidamente. L’idea era di avere un quadro generale da cui partire, per poi emanare decreti delegati nei settori più pronti, mentre per altri prendere il tempo necessario.

L’arrivo di un disegno di legge sullo spazio approvata dal Consiglio dei Ministri è una notizia molto positiva. Spetta al governo la decisione sulla forma migliore di attuazione, mentre il nostro lavoro era accademico e voleva solo fornire degli spunti interessanti di discussione. 

Trovo molto importante che questo passo sia stato fatto, indispensabile per un paese come l’Italia che ha un ruolo significativo nello spazio.

È essenziale che la legge non solo normi, ma anche favorisca lo sviluppo della Space Economy. Dobbiamo evitare di essere troppo restrittivi, specialmente per startup e piccole e medie imprese, per non ostacolare l’innovazione. La regolamentazione deve essere in linea con le leggi spaziali internazionali e mirare alla sostenibilità a lungo termine e alla mitigazione dei detriti spaziali. E mi sembra che il ddl vada proprio in questa direzione.

Un altro punto cruciale è il processo autorizzativo. Conosco bene il modello americano, dove il rilascio delle licenze include linee guida rigorose. Negli Stati Uniti, questo processo non è gestito dalla NASA, ma da un organismo terzo. In Italia, può essere l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) a svolgere questo ruolo, ma dovrà dotarsi delle competenze necessarie.

Spero che la nuova legge abbia una proiezione al futuro. Negli ultimi anni, l’Italia ha ricevuto un’importante iniezione di denaro e iniziative, che fossero al livello del Paese, come il PNRR e il progetto IRIDE. 

Abbiamo una strategia, si vede, abbiamo fondi, abbiamo un ecosistema per resistere a questo stress, spero che ci sia un’attenzione al mantenimento delle risorse finanziarie. 

È fondamentale garantire continuità anche dopo la fine dei fondi del PNRR. E dobbiamo pensare a rinforzare la disponibilità del capitale umano, indispensabile in questa fase ancora più che prima. Ed è proprio quello che cerchiamo di fare presso la SDA Bocconi dove insegno da ormai oltre due anni proprio space economy.

L’Italia ha dimostrato di poter fare grandi cose, ma dobbiamo pensare a come mantenere e potenziare questo livello di risorse. 

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Spazio-mare-Roberta-Busatto_

Giornalista, specializzata in Economia dello Spazio, in Economia del Mare e in Mindfulness - istruttrice MBSR. Dal 2004 si occupa di Aerospazio e dal 2011 di Economia del Mare. Dirige Economia dello Spazio Magazine e Economia del Mare Magazine, oltre a seguire le relazioni istituzionali ed esterne in questi settori per importanti stakeholder.