MEG II, la collaborazione scientifica dell’esperimento della quale fa parte anche l’INFN, ha presentato il 13 novembre, nel corso di un seminario scientifico al Paul Scherrer Institut (PSI), in Svizzera, il suo primo risultato sulla ricerca di una nuova ipotetica particella elementare, un bosone chiamato X17.
Il risultato, basato sull’analisi dei dati raccolti nel 2023, è riportato in un articolo pubblicato su arxiv e sottomesso alla rivista European Journal of Physics C.
Cavoto, Sapienza Università: “Il rivelatore MEG II ricerca nuovi fenomeni di fisica”
“Il rivelatore MEG II, in presa dati al laboratorio PSI, ricerca nuovi fenomeni di fisica, ed è stato disegnato in particolare per la ricerca del decadimento di un muone positivo in un positrone e un fotone, ma può studiare anche altri fenomeni, come la produzione della ipotetica particella X17”, spiega Gianluca Cavoto, professore alla Sapienza Università di Roma e associato all’INFN, che fa parte della collaborazione scientifica dell’esperimento e che ha presentato i risultati nel seminario al PSI.
“Da qui, la realizzazione di questa nuova misura, proposta dai ricercatori e dalle ricercatrici del gruppo italiano, che ne hanno poi coordinato la progettazione e la realizzazione, e la successiva analisi dei dati, grazie alla quale, non essendo emerso alcun segnale interessante, è stato posto un nuovo limite all’esistenza della particella X17”, conclude Cavoto.
La particella X17 è stata teorizzata una decina di anni fa per spiegare l’osservazione, realizzata da un esperimento al laboratorio ATOMKI (a Debrecen, in Ungheria), di una struttura anomala nella distribuzione dell’angolo di apertura nelle traiettorie delle coppie elettrone-positrone prodotte in una reazione nucleare indotta da protoni su un bersaglio di litio. Questa anomalia è stata, appunto, interpretata come la produzione e il successivo decadimento di una particella ipotetica, a cui è stato dato il nome X17 per il valore della sua massa (17 MeV).
Successivamente, utilizzando la stessa tecnica sperimentale, sono stati osservati eccessi simili, compatibili con questa particella, anche in processi che coinvolgono i nuclei di elio e carbonio.
“I processi esaminati negli esperimenti MEG ed ATOMKI sono reazioni nucleari complesse, che vanno analizzate con calcoli teorici di dinamica nucleare molto accurati”, spiega Michele Viviani, ricercatore del gruppo teorico della Sezione INFN di Pisa.
“Questo ora è possibile grazie ai recenti sviluppi nella comprensione delle forze nucleari, a cui molti ricercatori dell’INFN hanno dato contributi importanti”, conclude Viviani.
L’apparato MEG II utilizza protoni, provenienti da un acceleratore Cockroft-Walton, con un’energia fino a 1,1 MeV, che si scontrano con un bersaglio di litio. La coppia elettrone-positrone emergente dalla transizione nucleare litio –> berillio è stata studiata con diversi rivelatori, tra cui uno spettrometro (rivelatore gassoso in campo magnetico), ma non è stato trovato alcun segnale significativo, e sono stati quindi posti dei limiti sul tasso di produzione di X17.
Il risultato di ATOMKI è compatibile con queste osservazioni con un valore p (che è un indice del grado di significatività del campione) del 6%.
“I risultati presentati dalla collaborazione di MEG II, pur non escludendo definitivamente l’esistenza della particella X17, tuttavia indeboliscono la sua ipotesi. Questo significa che la comunità teorica dovrà riconsiderare i modelli di nuova fisica finora studiati per descrivere la natura della particella X17”, commenta Claudio Toni, ricercatore in Francia al Laboratoire d’Annecy-le-Vieux de Physique Théorique del CNRS, che ha lavorato allo studio della particella X17 durante la tesi magistrale e il dottorato alla Sapienza Università di Roma e come associato all’INFN.
La collaborazione MEG II riunisce più di 50 fisici provenienti da istituzioni di ricerca di Italia, Giappone, Russia, Svizzera e Stati Uniti, tra le quali l’INFN.